L’IMPEGNO DEI CATTOLICI NELLA VITA SOCIALE E POLITICA (2006)
Angel Rodríguez Luño
Premessa sulle fonti
Seguirò principalmente la «Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 24-XI-2002. Naturalmente aggiungerò delle mie personali riflessioni.
Ma volevo almeno accennare al fatto che Benedetto XVI, in diversi discorsi, ha toccato i punti più importanti di questa Nota. Andrebbero tenuti presenti almeno 5 Discorsi:
1) Discorso del 23 settembre 2005, al nuovo ambasciatore del Messico presso la Santa Sede. Benedetto XVI ha affermato tra l’altro che «uno Stato democratico laico deve proteggere la pratica religiosa dei suoi cittadini, senza preferenze né rifiuti [...] In uno Stato laico sono i cittadini che, nell’esercizio della loro libertà, danno un determinato sentimento religioso alla vita sociale. Inoltre, uno Stato moderno deve servire e proteggere la libertà dei cittadini e la fede religiosa che essi stessi scelgono, senza alcun tipo di restrizione o coazione».
2) Discorso del 12 novembre 2005, al nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Benedetto XVI ha sottolineato «l’intrinseca dimensione etica di ogni decisione politica», e ha pure messo in rilievo che riconoscere il ricco patrimonio di valori e principi incarnati nella legge morale universale, i cui principi derivano dal Creatore, «è essenziale per l’edificazione di un mondo che riconosca e promuova la dignità, la vita e la libertà di ogni persona umana, mentre crea le condizioni di giustizia e di pace nelle quali gli individui e le comunità possono realmente fiorire». Benedetto XVI ha aggiunto che «la missione religiosa universale della Chiesa non permette che essa sia identificata con un particolare sistema politico, economico o sociale, tuttavia allo stesso tempo, questa missione serve come fonte di impegno, direzione e forza».
3) Discorso del 17 dicembre 2005, ai Vescovi della Polonia in visita ad limina. Riguardo a coloro che occupano posti di primo piano nella società o che si dedicano alla politica, il Papa ha affermato che essi non possono rimanere privi di aiuto da parte della Chiesa ed ha ribadito la necessità che «si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori».
4) Discorso del 19 dicembre 2005, al nuovo ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Fra l’altro Benedetto XVI ha ripreso la lettera scritta da Giovanni Paolo II ai Vescovi francesi sull’esatto concetto di laicità.
5) Infine, andrebbe preso in attenta considerazione il Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005. A mio avviso si tratta di un Discorso molto importante, che andrebbe letto interamente. Leggerò soltanto un piccolo brano: «Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa».
Visione di insieme
La Nota dottrinale è un documento di dimensioni molto contenute. Non intende offrire una trattazione completa delle questioni riguardanti l’etica politica. Si occupa soltanto di «alcune questioni» che si pongono ai cittadini cattolici nelle società democratiche. Mi sembra che le principali sono tre:
1) La prima è che la coscienza cristiana contiene principi antropologici ed etici dei quali i cittadini cattolici non possono fare a meno nella loro partecipazione alla vita sociale e politica (vita sociale, quindi non solo politica: amministrazione locale, mondo della scuola, del sindacato, degli enti culturali, ecc.).
2) La seconda è che il dovere di coerenza che ne segue è perfettamente compatibile con la libertà politica dei cattolici. Questa tesi, che ripercorre l’intero testo, offre l’opportunità di chiarire la natura e il fondamento della libertà politica, che nulla ha a che vedere con il relativismo o “pluralismo” etico.
3) La terza, toccata in modo quasi tangenziale, riguarda l’importante tematica della laicità dello Stato.
La Nota si occupa anche di una domanda preliminare: perché, a quale titolo, i cattolici partecipano e devono partecipare alla vita politica del proprio paese? La risposta può essere riassunta in due punti:
1) Il dovere di partecipazione non è proprio né esclusivo dei cittadini cattolici. Esso è un dovere di tutti i cittadini in quanto tali: la vita democratica richiede la partecipazione di tutti. È necessario il loro contributo per scegliere tramite le elezioni i legislatori e i governanti. I cittadini contribuiscono anche in altri modi alla formazione degli orientamenti politici e delle opzioni legislative che a loro avviso meglio promuovono il bene comune. Senza partecipazione non c’è politica democratica.
2) Ma questa affermazione non rispecchia tutta la realtà. I cittadini cattolici, adempiendo con retta coscienza questi comuni doveri civili e politici, compiono allo stesso tempo la missione propria dei fedeli laici, ampiamente illustrata dal Concilio Vaticano II[1], che consiste nell’ordinare secondo i valori evangelici l’ordine temporale, rispettando la sua natura e legittima autonomia, e cooperando con gli altri cittadini, ciascuno secondo la propria competenza specifica e la propria responsabilità. Si tratta, insomma, di un dovere comune a tutti i cittadini che acquista però una dimensione e un significato nuovi, e si arricchisce coi contenuti e i valori del Vangelo.
I
Passiamo all’idea centrale: la coerenza con la coscienza cristiana. Si tratta in sostanza di capire che la cultura politica del cittadino cattolico non può non essere illuminata e informata dalla sua fede in Cristo, la quale per il cristiano è il criterio supremo di vita. Il cristiano promuoverà e difenderà ciò che, secondo la propria coscienza illuminata dai valori evangelici, contribuisca più e meglio al bene comune del proprio paese, come fanno anche gli altri cittadini.
Questa esigenza non implica confusione alcuna tra i valori religiosi e i valori civili. Non si pretende assolutamente che i valori religiosi diventino anche doveri politici, né che lo Stato diventi confessionale. La Nota lo afferma con estrema chiarezza: «Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli, salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili e politici e l’erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini»[2].
La coerenza richiesta si richiama in ultima analisi al «diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona»[3]. Si tratta quindi di essere fedele a valori umani, fondati sulla centralità della persona, fondamento della cultura politica democratica.
Il fatto poi «che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino»[4]. Anche quando sono confermati dal Vangelo, si tratta sempre di beni umani ai quali i cattolici devono essere fedeli per doppio titolo: in quanto uomini e in quanto credenti.
Non si vede perché il richiamo interiore del cittadino cattolico al Vangelo possa costituire un problema per la nostra cultura politica. Ciascuno di noi è ben libero di usare i mezzi che ritenga più opportuni per formare le proprie convinzioni sui problemi politici dibattuti. Ciascuno è ben libero di consultare i libri che gli sembrano più aggiornati, di parlare con i parenti o gi amici, o di leggere i documenti del magistero sociale della Chiesa. Alla fin fine ha sempre il diritto e il dovere di esprimere e motivare le convinzioni etiche o politiche che ha maturato in coscienza.
Come sappiamo, la Nota enumera alcune questioni che coinvolgono principi irrinunciabili per la coscienza cristiana. Sono questioni che riguardano la vita, la tutela legale del matrimonio e della famiglia, la libertà di educazione, la libertà religiosa, la tutela sociale dei minori, la giustizia sociale, la solidarietà economica, la sussidiarietà, ecc.[5].
Per quanto riguarda questi principi, la coerenza significa innanzitutto capirli nel loro esatto significato. Poi essere convinti con buone ragioni che essi sono migliori e in ogni caso preferibili ai loro contrari. Quindi lavorare senza arrendevolezza perché essi informino entro il possibile la vita sociale e l’ordinamento giuridico del proprio paese. Non sempre si otterrà quanto si vorrebbe, ma è preoccupante la situazione spirituale del cattolico che non sostiene le proprie convinzioni con il vigore e la passione con cui gli altri cittadini difendono le loro.
Una delle confusioni da evitare è quella di opporre a queste esigenze il principio del pluralismo, della libertà o della tolleranza. Anzitutto non si vede perché alla convinzione che alcune istituzioni e forme di vita sono migliori di altre debba seguire la mancanza di rispetto o lo scontro. Se ciò fosse vero, e non lo è, soltanto il relativismo che afferma che ogni idea e ogni concezione della vita vale quanto l’altra potrebbe fondare la libertà, il rispetto e la convivenza. Ma il relativismo non può fondare nulla, e meno ancora può fondare se stesso.
Il relativismo non resiste alla prova delle aspettative e delle preferenze umane. Alcuni affermano che in una società pluralista e conflittuale, quale la nostra, c’è ben poco di comune, e tanto meno di bene comune. Ci sarebbe molto da discutere. Ma per motivi di brevità basti accennare qui alla via negativa, invocando la nozione, filosoficamente forse poco ortodossa, di male comune. Tutti siamo d’accordo che, anche in una società pluralistica e conflittuale, l’improvvisa interruzione dell’afflusso di energia elettrica che ha colpito quasi tutta l’Italia il 28 settembre 2003 sia un male per tutti, cioè un male comune. Anche la scarsa disponibilità di acqua potabile, la diffusione pandemica di una malattia grave, l’assenza di sicurezza in un paese, la alta diffusione di fenomeni quali la tossicodipendenza o il suicidio, l’analfabetismo generalizzato, e tante altre cose di questo stile sono senza dubbio dei mali comuni. Se il male è la privazione di un bene, dovremmo dire che i beni di cui i mali appena citati ci privano sono un bene comune[6].
L’appello alla tolleranza e al pluralismo nei confronti del bene comune talvolta altro non è che un espediente. La Nota lo dice a chiare lettere: «invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica»[7]. E si aggiunge che la storia del XX secolo «basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato»[8].
La coerenza di cui stiamo parlando pone a mio avviso un problema di fondo, che si potrebbe riassumere in una sola domanda: fino a che punto oggi è veramente cristiana l’identità dei battezzati? La nostra identità è integrata dai beni e dagli scopi che noi riteniamo davvero importanti. Tra questi, che posto occupano in ciascuno di noi i principi etici ed etico-politici che la Nota qualifica come irrinunciabili per la coscienza cristiana? Siamo pronti a impegnarci civilmente per essi come altri si impegnano o anche noi stessi ci impegniamo in favore delle nostre legittime rivendicazioni lavorative, sindacali o economiche?
Penso che i problemi che oggi dobbiamo affrontare nei diversi paesi, e che riguardano per esempio progetti legislativi sul diritto alla vita, sul matrimonio o sulla scuola, hanno la loro radice più nell’immagine del bene umano assunta dai cittadini che non nella natura e funzionamento delle istituzioni democratiche. Se viene approvata democraticamente una legge gravemente ingiusta riguardante il diritto alla vita o il matrimonio in un paese in cui la stragrande maggioranza dei cittadini sono battezzati, non mi sembra giusto attribuire tale preoccupante fenomeno alle procedure secondo le quali vengono discusse e votate le leggi, e meno ancora al sistema politico democratico come tale. In un sistema democratico sono promulgate anche molte leggi giuste, e l’esperienza dimostra che nei sistemi politici non democratici sono state promulgate con maggiore facilità leggi ancora più ingiuste. La radice del problema sta piuttosto nella coscienza dei cittadini, che non è sufficientemente formata sul piano morale o almeno sul piano politico. Il difetto di formazione è attribuibile a diverse cause. E tra di esse non si può escludere il modo poco efficace e poco incisivo in cui la catechesi e la riflessione teologica svolgono il ruolo formativo che è loro proprio, che dovrebbe essere in grado di contrastare le istanze, innegabilmente presenti nella cultura politica attuale, che tendono a oscurare la percezione comune di importanti beni umani e sociali.
II
Vediamo ora che cosa è la legittima libertà politica dei cattolici. Essa è la libertà di scegliere «tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune»[9].
Il suo fondamento non è l’idea relativista secondo la quale tutte le concezioni dell’uomo e della vita sociale hanno lo stesso valore, ma il fatto che le attività politiche mirano alla realizzazione concreta del bene umano in un contesto storico, geografico, economico, ecc. molto concreto. Da ciò segue, generalmente, che esistano diverse possibilità concrete di realizzare lo stesso bene umano, tra le quali è lecito scegliere quella che sembra più adeguata alle circostanze concrete. Potremmo forse affermare che il suo fondamento è la contingenza e la parziale relatività della materia politica.
La legittima libertà politica che godono i cattolici non va confusa però «con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi morali e dei valori sostanziali a cui si fa riferimento. La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali»[10].
Per approfondire il fondamento della libertà politica bisogna interrogarsi sul rapporto tra fede cristiana e cultura politica. Due sono gli aspetti a considerare:
1) Da una parte, la fede cristiana non si identifica con alcuna sintesi politica e culturale concreta. La fede non è una cultura politica completa, alternativa alle culture politiche umane, e che potrebbe essere ricevuta soltanto da coloro che fossero interamente privi di qualsiasi cultura politica (cioè, potrebbe essere ricevuta soltanto in uno scenario politico vuoto).
2) Ma d’altra parte è anche vero che la fede cristiana ha molteplici conseguenze per l’attività politica. La fede è per i credenti il criterio supremo di vita, e pertanto la fede informa, aggiunge o modifica le diverse culture politiche umane di coloro a cui arriva la fede. La storia dimostra che la fede è stata più di una volta innovativa e creativa in ambito sociale e politico.
Mettere insieme le due cose richiede attenzione ed equilibrio. Nella pratica questioni religiose o morali possono essere molto legate a questioni politiche, ed è facile confondersi. È necessaria molta attenzione, e non permettere che gli insegnamenti morali vengano strumentalizzati politicamente. Ogni confusione o identificazione tra entrambi i piani alla fine è sempre nociva, soprattutto per la fede. L’attuale Codice di Diritto Canonico, c. 227, offre una sintesi della questione che mi sembra particolarmente chiara: «È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa».
III
Occupiamo infine della laicità dello Stato. La Nota dice: «La promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il “confessionalismo” o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto»[11]. E aggiunge: «Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. “Assai delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa, o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili diritti umani”»[12].
È vero che talvolta la laicità dello Stato viene invocata in modo ambiguo o improprio, e persino si intendono fondare su tale caratteristica dello Stato atteggiamenti poco rispettosi della religione o della sensibilità religiosa dei cittadini. Ma, in se stessa, la laicità dello Stato è non solo positiva, ma una nota della concezione cristiana dello Stato e della vita sociale.
Nel mondo greco e romano classico, e anche in altre civiltà non cristiane, esisteva ed esiste una concezione monista della vita sociale, secondo la quale nello Stato vengono unificate organicamente le dimensioni religiosa, morale e politica dell’esistenza umana. Il Cristianesimo rende inaccettabile questo monismo. Con il Cristianesimo si ha un concetto più alto di persona, la cui dignità e libertà si fondano su una sfera di valori che trascendono la politica[13].
Il Vangelo insegna che si deve dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio[14]. Esistono due sfere diverse, con autorità e missioni diverse, che vengono svolte in modo autonomo e armonico. Chi dà a Cesare quel che è di Cesare può e deve dare a Dio ciò che è di Dio. San Paolo, in Rm 13, 1-7, aggiunge qualcosa[15]: non si dà a Dio ciò che è di Dio se non si dà a Cesare quel che è di Cesare. Lo Stato che agisce rettamente nulla ha da temere dall’insegnamento apostolico secondo il quale bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini[16].
Allo stesso tempo di deve tener presente che la sfera politica e quella religiosa hanno dei punti in comune a causa della “ragioni di coscienza” di cui parla San Paolo in Rm 13, 5, vale a dire, a causa del terreno morale in cui entrambe si incontrano. Per il suo essenziale riferimento al bene degli uomini che vivono insieme, la prassi politica non ha solo delle importanti dimensioni morali, ma è essa stessa prassi morale, anche se non ogni prassi morale è prassi politica. Su questi presupposti, la concezione cristiana della laicità consiste nell’affermazione simultanea di tre principi:
1) La politica non è separabile dalla morale, perché la politica è essenzialmente riferita al bene comune, che comprende la promozione e la tutela di beni rilevanti per la vita in comune delle persone umane, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà, la giustizia e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la solidarietà, ecc.[17].
2) L’indole morale della prassi politica non può fondare confusione alcuna tra la società politica e la comunità religiosa, tra le loro finalità e tra gli ambiti di competenza propri delle loro rispettive autorità. Se sta nella natura stessa delle cose che la sfera politica e quella religiosa abbiano punti in comune, sta pure nella natura delle cose che il luogo privilegiato in cui tale connessione lascia sentire il suo peso sia la coscienza personale di quanti sono al tempo stesso e inseparabilmente cittadini (o anche governanti) dello Stato e fedeli della Chiesa. E così l’esistenza di punti di contatto tra la sfera politica e la sfera religiosa non intacca la loro distinzione e reciproca autonomia. Anzi, per evitare qualsiasi ambiguità, la Chiesa Cattolica vieta ai chierici «di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione all’esercizio del potere civile»[18], nonché la loro partecipazione attiva nei partiti politici[19], anche se i chierici continuano ad essere cittadini che esercitano tutti i diritti politici compatibili con la loro condizione di ministri sacri (diritto al voto, ecc.).
3) Per quanto riguarda la religione, laicità dello Stato non significa irreligiosità, agnosticismo o ateismo di Stato. Lo Stato laico riconosce l’importanza e il ruolo sia del fenomeno religioso in quanto tale, sia delle convinzioni religiose dei cittadini e delle tradizioni religiose dei popoli. Nel contempo è consapevole di non essere la fonte né il giudice della coscienza religiosa dei cittadini, ai quali riconosce il più ampio diritto alla libertà religiosa, purché vengano rispettate le giuste esigenze dell’ordine pubblico. E se, «considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad una comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e comunità religiose venga riconosciuto e rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa»[20].
L’insegnamento della Chiesa in materia sociale e politica intende essere pienamente rispettoso sia della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica, sia del legittimo pluralismo politico dei fedeli. Tale insegnamento si rivolge alla coscienza dei cittadini cattolici, e dei cittadini non cattolici che liberamente vogliano ascoltarlo, per illustrare quelle esigenze etiche appartenenti alla coscienza cristiana che riguardano il retto ordinamento di una società politica di persone umane, e non di una particolare comunità religiosa.
Perciò si può affermare che voler impedire ai cattolici di contribuire al bene comune secondo la loro coscienza sarebbe intolleranza: «Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo»[21].
IV
Dalle considerazioni precedenti scaturiscono non poche esigenze etiche concrete. Mi soffermerò su alcune.
In primo luogo l’esigenza della partecipazione alla vita culturale, sociale e politica[22], che ammette diversi gradi di impegno e diverse modalità, a seconda delle competenze e delle possibilità di ciascuno. I nemici da combattere sono la passività, l’inerzia, lo scoraggiamento. Forse bisogna guardare meno ai risultati ottenuti o che è prevedibile ottenere a breve scadenza che alla necessità che ciascuno si comporti come il sale[23] o, con l’immagine della Seconda Lettera di Pietro, «come lampada che brilla in un luogo oscuro»[24].
L’attuazione efficace di questo diritto e dovere di partecipazione richiede formazione e competenza[25], da acquistare su una duplice dimensione: «quella che si fonda sulla conoscenza delle realtà naturali, storiche e culturali di questo mondo e quella che proviene dalla loro interpretazione alla luce del Vangelo. Esse non sono interscambiabili: l’una non può sostituire l’altra, ma entrambe trovano l’unità nel loro primo fondamento, che è la Parola di Dio, il Verbo mediante il quale tutto è stato fatto, e nel loro ultimo fine, che è il regno di Dio»[26].
Accanto alla conoscenza esatta della dottrina sulla cooperazione al male e sul comportamento da tenere nei confronti delle leggi ingiuste, è necessaria una personale assimilazione dei principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, nonché un’adeguata percezione della specificità dell’etica politica. Secondo san Tommaso, tra il bene personale e il bene comune esiste una differenza formale[27], che determina una differenza di prospettiva tra l’etica personale e l’etica politica, da concepire come articolazione interna di un sapere etico unitario[28]. L’argomentazione etico-politica ha delle caratteristiche specifiche. Le ragioni valide per l’etica personale non sempre possono essere automaticamente trasferite all’etica politica.
Vorrei accennare infine all’importanza della presenza e degli interventi sul piano dell’educazione, della cultura e della comunicazione, piani sui quali oggi si gioca in buona parte il nostro futuro. L’uomo, per il semplice fatto di esserlo, possiede una percezione morale allo stato germinale. Il suo pieno sviluppo richiede l’equilibrio del sistema tendenziale. Da un punto di vista astratto, esiste un vero circolo tra la ragione pratica e l’equilibrio affettivo, perché ciascuno di questi due elementi presuppone l’altro[29]. Dal punto di vista concreto però, il circolo viene superato dall’educazione ricevuta nell’ambito della comunità o delle comunità alle quali il soggetto appartiene: società civile ed economica, Chiesa, Stato, ecc. Le consuetudini, le leggi, i modelli in esse vigenti non solo danno forma al nostro vivere insieme, bensì esprimono e forgiano nelle nuove generazioni certi modi di percepire e di valutare, giacché i singoli tendono a riconoscere se stessi nell'ambito legale e istituzionale nel quale sono nati e non possono fare a meno di vivere, e che fornisce loro le categorie per interpretare la loro esperienza e per rafforzare la loro identità. Andare controcorrente è perfettamente possibile, ma non sarà la tendenza maggioritaria nelle attuali società democratiche di masse. In ogni caso, è vero che la formazione della coscienza personale, possiede dei presupposti sociali, economici e politici, e che senza un’adeguata iniziazione familiare e sociale, lo sviluppo della moralità personale si rende estremamente lento e difficile.
È vero che la coscienza morale conserva sempre la capacità di giudicare e di decidere liberamente, ma per giudicare e decidere deve prima costituirsi, e tale costituzione avviene in un concreto contesto, e non nel fantomatico spazio extra-mondano del soggetto trascendentale kantiano. La legge morale naturale è una capacità personale, ma è naturale come lo è pure la capacità di parlare: il loro sviluppo e la qualità dei risultati raggiunti dipendono in buona parte del contesto comunicativo in cui avviene l’educazione. Il raggiungimento della consapevolezza morale personale non è indipendente dalla logica immanente e oggettivata nell’ethos del gruppo sociale, ethos che presuppone la condivisione di certi fini e del modo di raggiungerli, di certi modelli e dei modi di imitarli, e che si esprime nelle leggi, nelle consuetudini, nella storia, nella celebrazione degli eventi e dei personaggi che meglio rispondono all’identità morale del gruppo[30].
Attribuire ad ogni uomo una libertà perfetta, indipendentemente dal contesto storico e sociale, è un mito dell’individualismo. Su questo mito riposa la falsa idea che le leggi meramente permissive in materia di divorzio, aborto e eutanasia siano leggi che semplicemente si limitano a rendere legalmente possibile un comportamento, lasciando intatta la capacità di giudizio e di autodeterminazione del singolo. Questi leggi modificano l’aria che respira il nostro spirito e quello delle giovani generazioni. Laddove non fosse possibile evitare del tutto comportamenti eticamente negativi senza causare maggiori mali, sarà necessario lavorare per ridurre al massimo il negativo impatto sociale e culturale che gli strumenti legali o sociali di tolleranza sempre hanno. È del tutto ragionevole impegnarsi affinché non venga avvelenata l’acqua che ogni giorno tutti beviamo.
[1] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 7-XII-1965, nn. 31, 36, 43, 75.
[2] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 6 (d’ora in avanti Nota dottrinale...).
[3] Nota dottrinale..., n. 6.
[4] Nota dottrinale..., n. 6.
[5] Cfr. Nota dottrinale..., n. 4.
[6] Sul bene comune si vedano: A.M. Quintás, Analisi del bene comune, 2ª ed., Bulzoni, Roma 1988; M. Rhonheimer, Lo Stato costituzionale democratico e il bene comune, «Con-tratto» VI (1997) 57-123.
[7] Nota dottrinale..., n. 2.
[8] Nota dottrinale..., n. 2.
[9] Nota dottrinale..., n. 3.
[10] Nota dottrinale..., n. 3.
[11] Nota dottrinale..., n. 6.
[12] Nota dottrinale..., n. 6.
[13] Cfr. M. D’Addio, Storia delle dottrine politiche, 2ª ed., Edizioni Culturali Internazionali Genova, Genova 1992, vol. I, pp. 127-128; J. Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1987, pp. 142 ss.
[14] «Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 17-21).
[15] «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto» (Rm 13, 1-7).
[16] Cfr. At 5, 29.
[17] Cfr. Nota dottrinale, n. 1.
[18] CIC, c. 285, § 3.
[19] Cfr. Nota dottrinale, n. 1, nota 1.
[20] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 7-XII-1965, n. 6.
[21] Nota dottrinale..., n. 6.
[22] Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 42; Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 18-XI-1965, nn. 7, 13 e 24.
[23] Cfr. Mt 5, 13.
[24] 2 Pt 1, 19.
[25] Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 60; Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.
[26] Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 30-XII-1988, cap. V, n. 59: Enchiridion Vaticanum, vol. 11, n. 2012). Cfr. inoltre Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43.
[27] «Il bene dello stato e il bene di un individuo non si distinguono solo per una differenza di numero, ma per una differenza di forma: infatti la nozione di bene comune è diversa da quella di bene privato, come diverse sono le nozioni di tutto e di parte. Aristotele perciò ha scritto, che “non è buona l’affermazione di coloro i quali sostengono che stato, famiglia e altre cose del genere differiscono solo secondo la quantità, e non secondo la specie”» (S. Th., II-II, q. 58, a. 7, ad 2).
[28] Mi sono occupato con più ampiezza di questa distinzione nel mio saggio La specificità dell’etica politica, in A. Rodríguez Luño – E. Colom (edd.), Teologia ed etica politica (Atti dellVIII Simposio Internazionale della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce, “Etica politica e cultura democratica”, Roma 11-12 marzo 2004), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, pp. 47-62. Si veda anche E. Colom – A. Rodríguez Luño, Scelti in Cristo per essere santi. Elementi di Teologia Morale Fondamentale, 3ª ed., Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2003, pp. 314-315. Di fondamentale importanza è San Tommaso d’Aquino, In decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomacum Expositio, 3ª ed., Marietti, Taurini-Romae 1964, lib. I, lect. 1, nn. 4-6 (trad. italiana: Commento all’Etica Nicomachea, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998).
[29] Cfr. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-II, q. 58, aa. 4-5. Si veda anche il commento tomista al libro VI dell'Etica Nicomachea.
[30] Cfr. G. Abbà, Quale impostazione per la filosofia morale? Ricerche di filosofia morale — 1, LAS, Roma 1996, pp. 10-17.